Le richieste di gruppo nell’accordo concluso tra Italia e Svizzera
Le richieste di gruppo permettono di acquisire informazioni (spesso di carattere finanziario) su gruppi di contribuenti non identificati per nome e cognome ma accomunati da determinate tipologie di comportamenti: ad esempio, il trasferimento di residenza, l’utilizzo di carte di credito emesse da banche estere o il non aver fornito agli intermediari esteri informazioni sulla propria compliance fiscale.
In data 2 marzo 2017 Italia e Svizzera hanno concluso un Accordo amministrativo avente quale oggetto una specifica categoria di c.d. “richieste di gruppo” su contribuenti italiani.
Le richieste di gruppo su situazioni dal 23 febbraio 2015 al 31 dicembre 2016
Le richieste di gruppo avanzate ai sensi della Convenzione tra i due Stati, come modificata dal Protocollo del 23 febbraio 2015, devono riferirsi a situazioni esistenti dal 23 febbraio 2015 in poi.
Il Protocollo aveva sostituito l’art. 27 della Convenzione con una versione pienamente conforme all’art. 26 del Modello di Convenzione OCSE ed aveva previsto che le richieste di informazioni basate sul nuovo standard, tra cui le “richieste di gruppo”, avrebbero potuto essere presentate dal 13 luglio 2016, dovendo comunque riferirsi a fatti e/o circostanze esistenti alla data del 23 febbraio 2015 o successivamente.
Va tuttavia considerato che:
- la Svizzera, quale Stato aderente alla Convenzione Multilaterale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, può dar seguito a richieste di assistenza amministrativa avanzate dall’Italia (ma solo per fattispecie penalmente rilevanti) con riferimento ai periodi d’imposta dal 2014 in poi,
- lo scambio di informazioni automatico di informazioni finanziarie (CRS) tra Italia e Svizzera ha effetto già dal 2018 (con riguardo alle relazioni finanziarie esistenti al 31 dicembre 2016 e quelle aperte dal 1 gennaio 2017).
Le richieste di gruppo sui recalcitrant account holder
L’Accordo del 2017 ha ad oggetto solo una specifica categoria di richieste di gruppo; per essere ammissibili, le stesse devono difatti essere basate sul modello di comportamento del c.d. “recalcitrant account holder”. Ciò significa che:
- l’intermediario finanziario svizzero deve aver inviato al titolare del conto una lettera nella quale annuncia la chiusura forzata del conto a meno che il titolare non fornisca una dichiarazione firmata con la quale lo autorizzi alla trasmissione delle informazioni bancarie o qualsiasi altra prova di aver adempiuto agli obblighi fiscali per tale conto e
- il titolare del conto, nonostante la lettera, non ha fornito all’intermediario svizzero sufficiente evidenza dei relativi adempimenti fiscali italiani.
Le richieste di gruppo su conti collegati ad uno scudo fiscale
L’Accordo specifica che non rientrano nella suddetta categoria (e, quindi, non sono comunicati), i conti oggetto di specifiche procedure di assistenza (per es. i conti oggetto di c.d. Voluntary Disclosure) e quelli, ancora intrattenuti con intermediari svizzeri (per “rimpatrio giuridico”), collegati ad un c.d. “scudo fiscale”. Per questi ultimi, tuttavia, l’Accordo prevede che la Svizzera non debba procedere alla comunicazione solo a determinate ma non ben definite condizioni che non rispettano le complessità tecniche dello “scudo fiscale” e, inoltre, devono essere interpretate dagli intermediari e dalle autorità svizzere.
Le informazioni eventualmente fornite ai sensi dell’Accordo relativamente ad uno “scudo fiscale” riguardano necessariamente solo il periodo successivo al 28 febbraio 2015 (gli eventuali redditi di natura finanziaria risulteranno generalmente tassati dall’intermediario italiano); tuttavia, da tali risultanze potrebbero scaturire complesse e controverse attività ispettive a ritroso che, generalmente, producono poco o nessun gettito aggiuntivo per effetto di prescrizioni e decadenze.
di Siegfried Mayr e Giovanni Fort